NIGHTMORE
NightMore
è una fra le ultime serie fotografiche a cui sto lavorando,
nata
nel 2015 dal desiderio di riuscire a creare narrazioni senza la
preparazione meticolosa che mi è abituale, abbandonandomi, quindi, e
lasciandomi trasportare da sensazioni e sogni.
Le
immagini non hanno obbligatoriamente un senso compiuto, sono
suggestioni, indizi che possono condurre a diverse realtà parallele.
Si
situano in quello stato fluttuante della coscienza che genera
illusioni e visioni. Immagini ipnagogiche ricevute abbandonando me
stesso a ciò che il pre-sonno mi regala, aspettando, senza forzare
la mano.
“Suite
Suisse”
“Suite
Suisse” si configura come una scatola nella quale i protagonisti,
la pianista berlinese Karin Jumpen e l'uccello, diventano messaggeri
di simboli misteriosi. L'uccello salta dallo spartito incompiuto alla
bandiera, le mani abituate a suonare si liberano dalle bende
rivelando fiori appassiti, una è di cera. Nulla ha un senso. Esiste
solo lo svelarsi di ciò che avviene su ogni tavolo, forse suggerendo
un racconto di liberazione, ma ne siamo davvero così sicuri?
“A
Forest”
Al
progetto NightMore appartiene anche la fotografia “A Forest”.
Ci
mostra una foresta immota e silenziosa, dove tutto forse è già
avvenuto, ma ne rimane il ricordo: l'immagine di una ragazza inerme,
inspiegabilmente serena, di fronte a un mucchio di pietre con cui
hanno cercato di colpirla. Un riflesso rivela una barriera
invisibile, incrinata, ma indistruttibile, che la protegge.
Il
bosco silenzioso rivela così un nucleo rumoroso, diventando ambiente
che produce contemporaneamente di tranquillità e malvagità.
G.L. Groppi
TRIBUTO
ALL'INESPRESSO
La
mia vita è stata arricchita e accompagnata da letterati, artisti
pensatori, che hanno avuto una forte influenza sulla mia crescita.
Da
tempo sentivo la necessità di portare un omaggio a quelli che, fra
costoro, hanno posto fine alla loro esistenza prima del tempo.
E'
nata così una serie di ritratti simbolici, che prendono spunto da
parti delle loro opere, vite o, anche, dal momento della morte.
La
riflessione, però, si ferma non tanto su questo atto finale, ma,
piuttosto, sul pensiero duplice di quanto questa soluzione ci abbia
privato della loro opera ancora inespressa, rendendoci orfani, e
quanto, invece, loro ritenessero di non avere più nulla da dire,
lasciando che la loro intelligenza e il loro talento fossero
sopraffatti.
Tribute
to Osamu Dezai
Osamu
Dezai (1909-1948), scrittore, figlio della ricca borghesia terriera
giapponese ebbe sempre un rapporto conflittuale con la propria
famiglia, dovuto al suo stile di vita eccentrico, molto dandy e
dissoluto. Fu dedito all'alcool e alle droghe, pose fine ai suoi
giorni gettandosi in un fiume assieme alla sua gheisha all'età di
trentanove anni.
Nella
foto, ispirata al suo capolavoro “Il sole si spegne”, dieci
ciotole, ricordo degli odiati pranzi consumati da bambino assieme ai
suoi familiari, contengono una fotografia di una famiglia di dieci
persone, esattamente tante quante la sua reale famiglia.
Progressivamente ogni volto dei componenti viene cancellato.
Dall'ultima ciotola un bambino superstite ci guarda fisso: il piccolo
Osamu, finalmente, ha eliminato simbolicamente tutta la sua famiglia.
“Mi
è stata imposta una somma di dieci disgazie” (“Il sole si
spegne”)
Tribute
to Yasunari Kawabata
Yasunari
Kawabata(1899-1972), scrittore, premio Nobel nel 1968.
Il
trittico prende spunto dai romanzi “Il Lago” e “La Banda di
Asakusa”.
La
foto centrale è un ricordo della protagonista de “Il Lago”,
Miyako, la benda e il rossetto rosso, citati spesso nel romanzo, si
trasformano nella bandiera giapponese.
La
foto di sinistra rappresentano i riferimenti ai piedi, sempre ne “Il
Lago” e il disprezzo della protagonista nei confronti del vecchio
amante che la mantiene in una condizione di schiavitù.
La
foto di destra si riferisce alla setta femminile dell'Obi Rosso,
descritta in “La Banda di Asakusa”.
Tutto
il trittico sottende un sottile erotismo, tema portante di tutta la
produzione di Kawabata.
Tribute
to Antonia Pozzi
Antonia
Pozzi (1912-1938), poetessa. Ipersensibile,
creativa, dal carattere forte e
intelligente
ebbe un rapporto molto difficile con il chiuso ambiente religioso
familiare. Trovava unica consolazione nel rapporto con la natura e
nel paesaggio severo delle montagne che dominano la sua abitazione.
Per
questo nella foto Antonia è circondata da monti che rinverdiscono il
cuore, ma il cielo è tempestoso, le gambe sono bloccate nel terreno
(in una poesia scrisse di non riuscire a muoversi), le ginocchia,
come scrive in un altro passo, sanguinano. Nelle mani ha un
uccellino, simbolo delle rondini che tanto amava.
Da
un lato, spunta, incongruo, il piede di un neonato, fantasma del suo
desiderio di maternità spezzato.
Gian Luca Groppi
Intervista
a GIANLUCA
GROPPI
di Viviana
Siviero
per Espoarte
Un
fotografo eccezionale, Gianluca
Groppi,
un cantastorie moderno che unisce sensibilità ed ironia, elemento
nascosto da una facciata di rigida serietà.
La galleria genovese
VisionQuesT
– da anni impegnata nella selezione dei migliori fotografi
contemporanei – presenta la mostra
B(e)sides:
riunione di famiglia con figli unici, una serie di lavori che
l’artista – piacentino di nascita ma genovese d’adozione – ha
definito i suoi “figli unici”; perché svincolati dalla logica
della serie, (“narrativa” e criptica) che lui ama tanto.
Gianluca
Groppi, un artista vero, che pratica l’arte con sincerità e come
necessità, utilizzando mente e medium fotografico per esprimere la
propria poetica: ce la racconti in relazione ad una profonda serietà
di intenti, messe in scene e un sottofondo di ironia che nessuno osa
“provare” dinanzi a certe immagini “serie” ma che invece è
prepotentemente presente…
Per
carattere e sensibilità sono portato ad un’osservazione continua,
in particolar modo di me stesso e delle altre persone. In fuga da
un’adolescenza molto inquieta (movimento dark), ho scoperto negli
altri gli stessi malesseri, vuoti e ansie che mi appartengono. Io li
raccolgo e li metto in scena, per disvelarli e bonificarli,
ammantandoli di un’ironia salvifica, piuttosto nera, possibile
derivazione inconscia della mia emilianità.
Ami
lavorare per serie e in questo caso hai definito questi lavori come
le tue valvole di sfogo: “ogni opera è governata da visioni, flash
senza troppa meditazione”. In che senso però sono “figli
unici”?
Generalmente,
lavoro in tempi estremamente dilatati su filoni tematici ben
definiti, ma, parallelamente, ho una produzione continua di idee che
trascendono i corpi di lavoro e che realizzo più di getto, in
maniera estemporanea, liberandomi momentaneamente
dalla
rotta tracciata, in genere composti da più immagini a formare
polittici. È questo che intendo per figli unici: opere che
vivono di vita propria, non imparentate strettamente le une con le
altre. (qui di fianco mi dicono che, in realtà, un’aria di
famiglia comunque si respira). In
B(e)sides,
crasi tra il significato ”lato b” e “inoltre…”, convivono
“Reliquiari”, fotografia a colori di una fanciulla pronta a
tagliarsi i capelli, con, al suo fianco, una teca contenente i veri
capelli tagliati e, ancora a lato, una cornice e una teca vuote,
pronte a raccogliere un nuovo ritratto e un nuovo dono, simbolo di
cambiamento e passaggio; “I Cercatori” e “Denied” ,
fotografie in bianco e nero che parlano rispettivamente dell’atavica
ricerca ossessiva e inconcludente del significato della vita e
dell’autocancellazione del sé in conseguenza della vita stessa. “I
lost control” documenta in una sequenza di immagini una performance
gogoliana, grottesca e tragica, nata in stretta relazione a un
momento autobiografico. In una camera desolata il tacco della mia
scarpa sinistra, dapprima normale, cresce a dismisura fino a…
Una
volta hai affermato che il colore non è per tutti. Ci racconti del
tuo rapporto col bianco e nero e dei tuoi primissimi lavori a colori
che vediamo proprio in questa mostra…
La
frase “il colore non è per tutti” non è mia: la disse tempo fa
una fotografa, in risposta all’espressione di un mio desiderio. Il
bianco e nero è una mia condizione naturale (tra un cimitero e una
spiaggia preferisco il cimitero, he, he!), negli anni ho poi maturato
una predilezione per la pittura e le installazioni allontanandomi
dalla fotografia in senso classico, il colore diventa un mezzo per
avvicinarmici.
Come
nasce dal punto di vista tecnico un tuo lavoro? Da cosa parti e dove
vuoi arrivare?
Un’idea
cercata (attraverso letture e documentazioni) o improvvisa, un
disegno o storyboard, la costruzione del set. L’arrivo è un mio
rigore stilistico, scevro da mode e tendenze o regole di mercato.
Stai
lavorando su una magnifica nuova serie di lavori: ci anticipi
qualcosa sul futuro, anche se sappiamo che il tuo procedere è lento
e riflessivo? Progetti per il futuro, in Italia o all’estero?
Per
il momento preferirei non parlare della novità ancora nascente, ma
potrei dire che sto lavorando ad un tributo ad artisti, perlopiù
letterati accomunati da una dicotomia, i cui lavori hanno segnato la
mia crescita. Ad ora sto leggendo e studiando le loro vite e di volta
in volta scatto. Contemporaneamente ho finito la preparazione di un
progetto installativo che mette in relazione il Giappone e la sua
fonetica con l’Occidente. Italia o estero sarà il dubbio delle mie
ferie, se le farò.
Besides
di Clelia Belgrado
Lorella Klun, nel testo critico che accompagna la mostra “Mutazioni” di Gian Luca Groppi, lo
racconta come “moderno cantastorie, che mischia i generi e le carte, infondendo alle sue opere un
lirismo caustico che volutamente non offre panacee o soluzioni, ma piccoli strali, per scuoterci
dalla diffusa inerzia sociale ed emotiva”.
Ed eccolo di nuovo il “cantastorie”, che raggruppa in questa mostra anni di lavori che lui stesso
definisce “i suoi figli unici”.
“B(e)sides” è un insieme di lavori diversi fra loro, per le dimensioni, i contenuti e le forme, ma che,
come sempre, attraverso la linea visiva stilistica surreale e ironica, la sempre attenta e raffinata
atmosfera teatrale di colui che inventa, studia e costruisce scenografie, raccontano l'instabilità,
l'ambiguità e la continua ricerca esistenziale dell'umanità dei giorni nostri.
Nelle immagini che costituiscono “B(e)sides”, la messa in scena di ogni opera sembra voler
rendere ai suoi personaggi la coscienza di aver trovato finalmente un autore pronto a raccontare la
loro storia. La fotografia a colori della ragazza che si taglia una ciocca di capelli con un coltello,
segna non solo il passaggio del fotografo al colore, ma anche il passaggio ineluttabile
dall'adolescenza alla maturità ,inteso anche come dono.
“Flora” racconta la perdita dell'innocenza, che non sempre П negativa, ma che puШ far
“fiorire” altre esperienze.
Nei “Cercatori” il lavatoio con l'uomo che tenta di trovare qualcosa sul fondo diventa metafora
dell'umanità e del suo sempre incessante bisogno di trovare un significato alla vita.
Il risultato è solo un pugno di argilla e la consapevolezza che anche gli altri sono in continua
ricerca, senza trovare risposte, tranne quel poco fango che scivola tra le dita e che, in fondo, è la
materia da dove proveniamo e dove finiremo.
In “Denied”, attraverso un rito quasi sommesso di preparazione di una superficie neutra, ci si
prepara ad assorbire tutte le crudeltà ed i rifiuti di una società pronta ad annullarci.
In “Apatia”, mediante l'utilizzo di un' acrostico come forma di linguaggio, Groppi ha voluto
rappresentare attraverso un atto performativo, una condizione emotiva (APATIA), tanto cara a noi
occidentali, che non appartiene, invece, a un paese come la Cambogia, nonostante tutte le
tragedie del recente passato,
Queste immagini, che Groppi definisce “i miei figli unici ,ossia le mie valvole di sfogo: ogni opera "
governata da visioni, flash senza troppa meditazione”, sono caratterizzate da una notevole
capacità di sintesi compositiva, che П formale, ma anche originale ed inconsueta, e da una colta e
raffinata vena noir, generando messaggi o riflessioni sulla nostra contemporaneità, la nostra
esistenza e convivenza.
Mutazioni
di Lorella Klun
Gian
Luca Groppi, da moderno cantastorie, mischia i generi e le carte,
infondendo alle sue opere un lirismo caustico che volutamente non
offre panacee o soluzioni, ma piccoli strali per scuoterci dalla
diffusa
inerzia sociale ed emotiva.
Le
fotografie analogiche, frutto di una concettualità lucida e
disincantata, lavorano sul coup de théatre,
o
come negli illustri precedenti di Duchamp e Man Ray , giocano sui
doppi significati linguistici e semantici; ma focalizzano anche lo
sguardo sui vizi, le falsità e i luoghi comuni della società, sulla
compulsione
ad apparire, portando alla luce il diffuso malessere esistenziale che
corrode energie e valori.
I
personaggi, tolti dal loro abituale contesto, si reinventano
attraverso l'attenta regia e l'occhio complice
dell'autore:
dai set fotografici emergono figure spesso anaffettive, preda di
un'entropia comunicativa
che
congela gesti e sguardi. L' appeal patinato di manager, venditori e
modelle si riempe allora di crepe,
i
legami familiari divengono pastoie inestricabili, la brillante
superficie della realtà perde lo smalto e
scivola
verso i territori dell'illogica logica surreale.
Non
si tratta di semplici pose, ma di interpretazioni e messe in scena
che rifuggono le elaborate scenografie a favore di pochi, sapienti
elementi: un rasoio usa e getta che diviene così lo strumento per
mettere a nudo le maschere dell'ipocrisia, i campionari medicinali de
''L'informatore scientifico''
si
trasformano in macabro boomerang, le ragazze che media e riviste
giornalmente ci''vendono'',
non
sono altro che kit fai-da-te, un insieme di parti da assemblare e
smontare a piacimento.
Ogni
dittico diviene riflessione, racconto aperto, analisi
comportamentale; dalla successione delle opere, dense di citazioni e
rimandi culturali, si evince la coerenza narrativa e stilistica
dell'autore,
ma
soprattutto il suo amore per la fotografia: scrigno di progettualità,
tecniche e teoria, ma soprattutto
dea,
amica e confidente.
Lorella
Klun
Love will tear us ap-ART
Love will tear us ap-ART è un breve progetto che parla di arte contemporanea cogliendone, attraverso uno sguardo irriverente, i punti deboli e le sue contraddizioni,